Inferno canto II - Divina commedia dantesca: parafrasi, schema, riassunto, analisi e commento

Le grandi opere della letteratura italiana recensite dagli utenti di USNW

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  1. giofe86
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    Inferno, canto II



    Lo giorno se n’andava, e l’aere bruno

    toglieva li animai che sono in terra

    3 da le fatiche loro; e io sol uno

    m’apparecchiava a sostener la guerra

    sì del cammino e sì de la pietate,

    6 che ritrarrà la mente che non erra.

    O muse, o alto ingegno, or m’aiutate;

    o mente che scrivesti ciò ch’io vidi,

    9 qui si parrà la tua nobilitate.

    Io cominciai: "Poeta che mi guidi,

    guarda la mia virtù s’ell’è possente,

    12 prima ch’a l’alto passo tu mi fidi.

    Tu dici che di Silvïo il parente,

    corruttibile ancora, ad immortale

    15 secolo andò, e fu sensibilmente.

    Però, se l’avversario d’ogne male

    cortese i fu, pensando l’alto effetto

    18 ch’uscir dovea di lui, e ’l chi e ’l quale

    non pare indegno ad omo d’intelletto;

    ch’e’ fu de l’alma Roma e di suo impero

    21 ne l’empireo ciel per padre eletto:

    la quale e ’l quale, a voler dir lo vero,

    fu stabilita per lo loco santo

    24 u’ siede il successor del maggior Piero.

    Per quest’andata onde li dai tu vanto,

    intese cose che furon cagione

    27 di sua vittoria e del papale ammanto.

    Andovvi poi lo Vas d’elezïone,

    per recarne conforto a quella fede

    30 ch’è principio a la via di salvazione.

    Ma io, perché venirvi? o chi ’l concede?

    Io non Enëa, io non Paulo sono;

    33 me degno a ciò né io né altri ’l crede.

    Per che, se del venire io m’abbandono,

    temo che la venuta non sia folle.

    36 Se’ savio; intendi me’ ch’i’ non ragiono".

    E qual è quei che disvuol ciò che volle

    e per novi pensier cangia proposta,

    39 sì che dal cominciar tutto si tolle,

    tal mi fec’ïo ’n quella oscura costa,

    perché, pensando, consumai la ’mpresa

    42 che fu nel cominciar cotanto tosta.

    "S’i’ ho ben la parola tua intesa",

    rispuose del magnanimo quell’ombra,

    45 "l’anima tua è da viltade offesa;

    la qual molte fïate l’omo ingombra

    sì che d’onrata impresa lo rivolve,

    48 come falso veder bestia quand’ombra.

    Da questa tema acciò che tu ti solve,

    dirotti perch’io venni e quel ch’io ’ntesi

    51 nel primo punto che di te mi dolve.

    Io era tra color che son sospesi,

    e donna mi chiamò beata e bella,

    54 tal che di comandare io la richiesi.

    Lucevan li occhi suoi più che la stella;

    e cominciommi a dir soave e piana,

    57 con angelica voce, in sua favella:

    "O anima cortese mantoana,

    di cui la fama ancor nel mondo dura,

    60 e durerà quanto ’l mondo lontana,

    l’amico mio, e non de la ventura,

    ne la diserta piaggia è impedito

    63 sì nel cammin, che vòlt’è per paura;

    e temo che non sia già sì smarrito,

    ch’io mi sia tardi al soccorso levata,

    66 per quel ch’i’ ho di lui nel cielo udito.

    Or movi, e con la tua parola ornata

    e con ciò c’ha mestieri al suo campare,

    69 l’aiuta sì ch’i’ ne sia consolata.

    I’ son Beatrice che ti faccio andare;

    vegno del loco ove tornar disio;

    72 amor mi mosse, che mi fa parlare.

    Quando sarò dinanzi al segnor mio,

    di te mi loderò sovente a lui".

    75 Tacette allora, e poi comincia’ io:

    "O donna di virtù, sola per cui

    l’umana spezie eccede ogne contento

    78 di quel ciel c’ha minor li cerchi sui,

    tanto m’aggrada il tuo comandamento,

    che l’ubidir, se già fosse, m’è tardi;

    81 più non t’è uo’ ch’aprirmi il tuo talento.

    Ma dimmi la cagion che non ti guardi

    de lo scender qua giuso in questo centro

    84 de l’ampio loco ove tornar tu ardi".

    "Da che tu vuo’ saver cotanto a dentro,

    dirotti brievemente", mi rispuose,

    87 "perch’i’ non temo di venir qua entro.

    Temer si dee di sole quelle cose

    c’hanno potenza di fare altrui male;

    90 de l’altre no, ché non son paurose.

    I’ son fatta da Dio, sua mercé, tale,

    che la vostra miseria non mi tange,

    93 né fiamma d’esto ’ncendio non m’assale.

    Donna è gentil nel ciel che si compiange

    di questo ’mpedimento ov’io ti mando,

    96 sì che duro giudicio là sù frange.

    Questa chiese Lucia in suo dimando

    e disse: - Or ha bisogno il tuo fedele

    99 di te, e io a te lo raccomando -.

    Lucia, nimica di ciascun crudele,

    si mosse, e venne al loco dov’i’ era,

    102 che mi sedea con l’antica Rachele.

    Disse: - Beatrice, loda di Dio vera,

    ché non soccorri quei che t’amò tanto,

    105 ch’uscì per te de la volgare schiera?

    Non odi tu la pieta del suo pianto,

    non vedi tu la morte che ’l combatte

    108 su la fiumana ove ’l mar non ha vanto? -

    Al mondo non fur mai persone ratte

    a far lor pro o a fuggir lor danno,

    111 com’io, dopo cotai parole fatte,

    venni qua giù del mio beato scanno,

    fidandomi del tuo parlare onesto,

    114 ch’onora te e quei ch’udito l’hanno".

    Poscia che m’ebbe ragionato questo,

    li occhi lucenti lagrimando volse,

    117 per che mi fece del venir più presto.

    E venni a te così com’ella volse:

    d’inanzi a quella fiera ti levai

    120 che del bel monte il corto andar ti tolse.

    Dunque: che è? perché, perché restai,

    perché tanta viltà nel core allette,

    123 perché ardire e franchezza non hai,

    poscia che tai tre donne benedette

    curan di te ne la corte del cielo,

    126 e ’l mio parlar tanto ben ti promette?".

    Quali fioretti dal notturno gelo

    chinati e chiusi, poi che ’l sol li ’mbianca,

    129 si drizzan tutti aperti in loro stelo,

    tal mi fec’io di mia virtude stanca,

    e tanto buono ardire al cor mi corse,

    132 ch’i’ cominciai come persona franca:

    "Oh pietosa colei che mi soccorse!

    e te cortese ch’ubidisti tosto

    135 a le vere parole che ti porse!

    Tu m’hai con disiderio il cor disposto

    sì al venir con le parole tue,

    138 ch’i’ son tornato nel primo proposto.

    Or va, ch’un sol volere è d’ambedue:

    tu duca, tu segnore e tu maestro".

    141 Così li dissi; e poi che mosso fue,

    intrai per lo cammino alto e silvestro.

    Parafrasi:


    Il giorno si avviava alla fine, e l’imbrunire
    sottraeva tutti gli esseri viventi
    dalle loro fatiche quotidiane; e io unico fra tutti
    mi accingevo a sostenere le fatiche
    sia del cammino e sia della compassione,
    che la memoria conserva con esattezza.
    O muse, o mio ingegno, aiutatemi;
    o memoria che scrivesti quello che io vidi
    qui si rivelerà la tua eccellenza.
    Io cominciai: “Poeta che mi guidi,
    giudica se la mia virtù è adeguata
    prima che tu mi affidi a questo difficile cammino.
    Tu stesso scrivi (nell’Eneide) che il padre di Silvio (=Enea),
    ancora in vita si recò nell’aldilà, e ci andò con il corpo.
    Ma se Dio, nemico di ogni male,
    fu benevolo con Enea, questi non potrà non apparire degno di tanta benevolenza
    a un uomo d’intelletto, che ricordi l’importanza degli eventi,
    di cui egli sarà protagonista;
    poiché egli fu prescelto da Dio
    nel cielo empireo della nobile Roma e del suo impero:
    la quale Roma e il quale impero, a voler dire la verità,
    furono stabiliti dalla divinità
    per fare di quella città il luogo santo dove ha sede il successore del grande Pietro.
    Per questo viaggio del quale tu nel tuo poema
    gli dai onore, gli furono dette cose che lo incoraggiarono
    alla vittoria (sui Latini), da cui poi conseguì l’autorità papale.
    Vi andò poi San Paolo (detto “l’urna dell’elezione”)
    per portare in tutti gli uomini la fede,
    che è principio obbligato della salvezza.
    Ma io per quale motivo dovrei venirci? Chi mi concede questo privilegio?
    Io non sono né Enea, né san Paolo:
    nessuno può credere che io sia degno a questa impresa.
    Perciò, se mi lascio andare a questo viaggio,
    temo che la mia venuta sia temeraria.
    Sii saggio: comprendimi meglio di quanto
    io sappia esprimermi”.
    E come un uomo che non vuole più ciò che prima ha voluto,
    e per il sopraggiungere di nuovi pensieri cambia il suo proposito,
    tanto che si distoglie da ciò che aveva appena cominciato,
    così mi comportai io in quell’oscuro fianco di colle, perché,
    a forza di pensare, annullai quell’impresa
    che avevo cominciato così prontamente.
    “Se ho ben capito quello che intendi”,
    rispose il mio maestro,
    “la tua anima è colpita da pusillanimità, che
    spesso impedisce all’uomo il suo cammino,
    opponendo un ostacolo, al punto che lo fa tornare indietro
    da un’impresa onorevole, come avere l’impressione di vedere
    qualcosa che non c’è fa tornare indietro un animale quando si adombra.
    Affinché tu ti liberi da questa paura, ti dirò perché sono venuto,
    e ti dirò quello che ho sentito nel momento in cui provai
    dolore per te.
    Ero tra coloro che sono sospesi (nel Limbo)
    e una donna beata e bella mi chiamò, che
    non potei fare altro di chiederle di comandarmi quello che desiderava.
    I suoi occhi splendevano più delle stelle; e cominciò a parlare
    con voce molto dolce e angelica;
    “O cortese anima mantovana, la cui fama
    ancora perdura nel mondo,
    e resisterà a lungo nel tempo,
    un mio amico, e non di quelli che mutano secondo la fortuna,
    è ostacolato nel suo cammino nella selva
    al punto che si è volto indietro per la paura;
    e temo che si sia già tanto smarrito, che io mi sia
    mossa tardi per aiutarlo,
    secondo quanto ho sentito dire di lui in cielo.
    Vai dunque e con le tue efficaci parole,
    e con quello che è necessario per la sua salvezza,
    aiutalo, in modo che io possa essere rassicurata.
    Io, che ti invito a muoverti, sono Beatrice;
    vengo da un luogo dove desidero tornare (il Paradiso):
    mi mosse l’amore, che mi fa parlare a te.
    Quando sarò davanti al mio Signore,
    gli farò spesso le tue lodi”.
    Poi tacque e io dissi:
    “O signora di tutte le virtù,
    grazie alla quale soltanto l’umana specie trascende
    ogni cosa contenuta in cielo con la circonferenza minore di tutti,
    il tuo ordine mi è tanto gradito che,
    se già mi fossi mosso a ubbidire,
    mi sembrerebbe già tardi: per essere ubbidita,
    non hai bisogno di altro che di espormi il tuo desiderio.
    Dimmi piuttosto il motivo per cui non esiti
    a scendere quaggiù, in questo centro della Terra (Inferno),
    dal più ampio cielo (Empireo), nel quale desideri tornare con ardore”.
    Mi rispose: “Poiché desideri tanto conoscere i miei pensieri,
    ti dirò brevemente perché io non temo di venire quaggiù.
    Si devono temere solo le cose che ci possono nuocere;
    non le altre, perché quelle non sono tali da far paura.
    Io sono stata creata da Dio, per grazia sua,
    tale che non posso essere toccata dalla miseria di voi dannati,
    né attaccata dal fuoco dell’inferno.
    In Cielo c’è una donna gentile (rif.: Vergine Maria),
    che si duole, provando compassione,
    di questo insormontabile ostacolo che io ti mando
    a rimuovere, al punto tale che infrange lassù in paradiso
    la vera sentenza divina.
    Questa donna chiamò presso di sé Lucia e le disse:
    “Il tuo fedele ora ha bisogno di te, ed io te lo affido”.
    Lucia, nemica di tutte le crudeltà, si mosse al
    luogo dove io stavo, seduta presso l’antica Rachele.
    Disse: “Beatrice, tu sei una vera lode di Dio, perché
    Non soccorri colui che ti amò tanto, da uscire, per amore tuo
    dalla schiera del volgo? Non senti l’angoscia del suo pianto,
    non vedi il rischio mortale che egli corre,
    sull’orlo del tempestoso flutto delle passioni
    del quale il mare non è più terribile?”.
    Al mondo non ci furono mai persone così veloci
    a fare il proprio vantaggio o a fuggire il proprio danno,
    come fui io, dopo che furono pronunciate tali parole,
    a venire quaggiù dalla mia sede beata, confidando
    nel tuo parlare dignitoso e nobile,
    che onora te e quelli che lo hanno ascoltato”.
    Dette queste parole, rivolse gli occhi indietro,
    divenuti ancora più lucenti per le lacrime,
    e con questo gesto mi spinse a muovermi
    ancora più velocemente.
    E venni a te così come volle lei: ti tolsi dal confronto con quella fiera,
    che ti impediva di salire in cima al colle per la strada breve.
    Dunque, cosa succede?
    Perché stai fermo, perché accogli nel tuo cuore tanta viltà,
    perché non hai coraggio e franchezza
    dopo che tre donne sante di tale importanza
    hanno cura di te nella corte del cielo,
    e le mie parole ti promettano tanto bene?”.
    Come i fiori piegati e chiusi dal gelo notturno,
    quando il sole li illumina con la luce bianca dell’alba,
    si sollevano aperti sul loro stelo,
    così divenni io, nella mia debole forza
    e il mio cuore fu pieno di tanto buon coraggio,
    che gli dissi con franchezza:
    “Oh, quanto è ricca di pietà colei che mi soccorse!
    E quanto cortese sei tu, che hai subito ubbidito
    alle parole veritiere che ti ha detto!
    Tu, con le tue parole, hai reso il mio cuore così doveroso di venire,
    che io sono tornato al mio primo proposito.
    Vai pure avanti che abbiamo entrambi uno stesso volere.
    Tu mia guida, tu mio signore,,
    tu mio maestro”.
    Così gli dissi; e quando si mosse, entrai nel cammino profondo e selvaggio.

    Schema canto II:


    LUOGO: Selva
    PERSONAGGI: Dante / Virgilio / Vergine Maria / Lucia / Beatrice
    TEMPO: Sera dell’8 aprile (venerdì santo)

    Punti chiave:


    * Proposizione e invocazione alle muse
    * Dubbi di Dante e risposta di Virgilio
    * La pietà di Beatrice
    * Le tre donne pietose
    * Dante rinfrancato

    Riassunto sintetico:


    È il tramonto. L'animo di Dante, che si era riaperto alla speranza, è nuovamente vinto dal dubbio. La visione dell'aldilà era stata concessa, prima della morte solo ad Enea e a San Paolo; ma il primo era stato eletto da Dio a fondatore di Roma, fulcro dell'impero e futura sede del pontificato; l'altro a stabilire con la sua predicazione la fede in Cristo, senza la quale non è dato salvarsi. Perché mai un tale dono di grazia dovrebbe ripetersi a beneficio di un uomo qualsiasi, senza particolari meriti e senza un visibile fine provvidenziale? Per vincere la viltà che offusca lo spirito di Dante e minaccia di distoglierlo dall'onorata impresa, Virgilio gli risponde che la sua salvezza sta a cuore a tre donne beate: la Vergine, Santa Lucia e Beatrice. Quest' ultima non ha esitato a scendere nel limbo per esortare Virgilio ad accorrere in aiuto del suo amico disperato ed impotente. A queste parole la virtù di Dante si rianima, come un fiore che il sole illumina all'alba; e con spirito ardito e franco si avvia, dietro la sua guida, per il cammino alto e silvestro.

    Commento sintetico:


    Le esitazioni e le obiezioni di Dante e la risposta eloquente di Virgilio servono ad illustrare il carattere profondo che il poeta attribuisce al suo messaggio; devono chiarire al lettore che il viaggio nell'aldilà di Dante è voluto dal cielo, che la sua missione, proprio come quella di Enea e San Paolo, si giustifica per un fine che va molto al di là della sua persona e che investe il destino dell'umanità intera.

    Introduzione critica


    Dei vari momenti di poesia che in questo canto confluiscono, la critica non ha tardato ad individuare quelli di più immediata resa lirica: dal tragico tramonto dei versi iniziali alla spirituale apparizione di Beatrice - che la umana passione non tange e che pure, umanamente, lascia trapelare, nel fuoco di carità che la muove, l’amore di un tempo per il suo fedele amico - alla fresca similitudine dei fioretti, che avvia il canto alla sua conclusione su una nota di speranza.Più arduo tuttavia e controverso appare il discorso allorché si passi, dallo studio di questi nuclei lirici di incontrastata evidenza, all’analisi dell’ordito in cui si inseriscono. Subito dopo i pensosi versi d’apertura troviamo una sommaria invocazione alle Muse, cui seguono l’esposizione che Dante fa al maestro dei propri dubbi e la risposta di Virgilio. Sono queste le parti da molti giudicate impoetiche (il Croce trova qui "titubanze artificiate per dar luogo a risposte informative... domande non necessarie e risposte che vanno di là dalla domanda"), ma al tempo stesso indispensabili all’architettura generale del poema, per la funzione esplicativa che in esso svolgono. In questo canto, infatti, detto anche "prologo in cielo" per distinguerlo dal primo, detto "prologo in terra ", il Poeta fornisce al lettore le premesse di natura storico-teologica del suo viaggio nell’al di là. Già fin dal primo canto il dramma di Dante era apparso come il dramma dell’umanità allontanatasi dalla via del bene. Singolarmente indicativa, a tal proposito, era stata la figura della lupa, simbolo di un traviamento, almeno in ugual misura, politico ed etico, cui si era contrapposta, nella profetica anticipazione di Virgilio, la figura, messianica e purificatrice, del Veltro. E’ essenziale, per poter penetrare nello spirito della Commedia, capire che per Dante la lotta tra il bene ed il male non si svolge soltanto nell’intimità delle coscienze, ma ha per teatro il mondo e si concreta in eventi storici, il Poeta abbraccia con un solo sguardo il campo delle intenzioni e quello delle azioni che ne risultano, e si erge a giudice delle une non meno che delle altre. Il suo giudizio ci apparirà ora motivato da considerazioni di pura natura etica, ora invece fortemente influenzato da moventi politici, ma questa scissione che noi siamo portati a stabilire oggi fra due sfere dell’agire (la politica e la morale), nella visione rigorosamente unitaria che del mondo aveva il Medioevo, e di cui Dante è il più alto interprete, non esisteva. Comunque, uno dei miracoli della sua poesia, e non dei minori, sta proprio nel riproporci, viva e stimolante, in un secolo di dubbi e di cautele critiche, quell’indissolubile unitarietà di visione. Già dunque nel primo canto Dante ci aveva dato gli antefatti del suo viaggio; ma ce li aveva dati in chiave enigmatica, ricca di suggestioni fantastiche, aperta a una varietà di interpretazioni pressoché illimitata. In questo secondo canto l’ambito delle sue preoccupazioni si precisa: non più animali a significare le passioni dell’animo, non più occulte concordanze col tempo astronomico a suggerire una felice disposizione delle costellazioni all’impresa. Ora Dante fa i nomi di coloro che hanno avuto una funzione provvidenziale sul corso della storia (Enea e San Paolo) e che in virtù di questa loro funzione hanno potuto, da vivi, varcare le soglie dell’oltretomba, e con essi si raffronta. La sua parola è cauta, la struttura sintattica del discorso che rivolge a Virgilio, tormentata e complessa. Ma non dobbiamo vedere in questo procedere per gradi del suo ragionamento un segno di freddezza, una temporanea assenza dell’ispirazione, quanto piuttosto l’espressione di un fuoco represso, di un calore contenuto, di una urgenza controllata. Parlando a Virgilio, Dante fa in realtà un esame di coscienza e non c’è alcun motivo per sostenere che un esame di coscienza sia in se stesso tema meno poetico di un’estasi d’amore. Inoltre dobbiamo tener presente, fin da questi canti iniziali, che la poesia di Dante non nasce su un terreno vergine di cultura, quale quello cui aspirano i poeti nelle epoche di stanchezza, di transizione, quando, sotto il peso di una tradizione ormai esausta, sembra impossibile recuperare la genuinità del sentire, ma si alimenta anzi di continui suggerimenti culturali. E’ raro che questi suggerimenti restino in Dante arida dottrina: quasi sempre egli li investe della sua passione e li plasma poeticamente, mentre essi, a loro volta, conferiscono alla terzina dantesca la sua straordinaria densità e robustezza. Per il fatto che nella Divina Commedia esistono (ma raramente sono isolabili dal contesto in cui sono inserite) zone di più facile lettura, non è detto che la poesia di Dante vada di necessità ricercata in queste, ad esclusione di altre in cui l’espressione lirica si avviva al contatto con la notizia storica, la precisazione geografica, il problema filosofico, l’assioma teologico. In particolare qui, nel secondo canto, le parole che Dante rivolge al maestro per manifestargli le sue esitazioni riescono ad esprimere compiutamente, con i riferimenti alla storia di Roma e a quella del papato, la consapevolezza che Dante ha della sua alta missione. La risposta di Virgilio, anch’essa elaborata, partecipa di tutt’altra atmosfera: è la certezza che risponde al dubbio; la sua complessità è più esteriore che interiore. Soltanto la comparsa di Beatrice scioglie quello che di troppo rigido rimane per noi nel cerimoniale, evocato dal poeta latino, delle tre donne benedette e schiude una pagina di sovrana e luminosa poesia: come sempre, quando Dante ricorda la donna da lui tanto amata in gioventù, la parola gli si fa lieve, incorporea, tanto più casta quanto più appassionata; la politica, la cultura, il pesante fardello delle sue cure, sono per un istante dimenticati; resta solo uno sguardo rivolto al cielo, una sete religiosa di chiarezza, l’umiltà di un "grande" ai piedi di una " santa ".


    Commento approfonfito


    Quando il tramonto concede il riposo alle fatiche degli animali, Dante inizia a sostenere la sua guerra (“la guerra / sì del cammino e sì de la pietate V. 5), la lotta, cioè, cui lo costringeranno l’asprezza fisica del cammino nel regno dei morti e la compassione per il dolore delle anime. Una lotta, questa, che sarà appunto oggetto del suo ricordo (“che ritrarrà la mente che non erra” = “che sarà rappresentata dal ricordo che dice sempre il vero” v. 6), e dunque oggetto della sua opera, la Commedia.
    Dopo l’attacco virgiliano (il riferimento è ai passi dell’Eneide che contrappongono la pace della notte alle fatiche del giorno: Eneide, IV 522-531; VIII 26-530; IX 224-228), il poeta si rivolge alle muse, secondo la tradizione del proemio classico, e chiede il loro soccorso, insieme a quello di tutte le sue facoltà intellettuali, per dare inizio alla cantica dell’Inferno, che propriamente inizia a questo punto: “O muse o alto ingegno, or m’aiutate” v.7.
    Conclusa l’invocazione alle muse, il canto prende avvio con i timori di Dante che si ritiene indegno del viaggio propostogli da Virgilio e ne teme la presuntuosa follia (la follia di chi troppo fida nelle sole forze umane: “temo che la venuta non sia folle” v. 35). Egli sa che solo Enea e San Paolo hanno compiuto, da vivi, un viaggio nell’oltretomba per una particolare grazia divina dovuta alle loro grandi imprese e a meriti che Dante non riconosce in sé. Enea fu, infatti, il “padre” dell’impero romano e il fondatore di quella Roma che sarebbe stata la sede della Chiesa; San Paolo fu colui che diffuse nel mondo la volontà del Signore e che scese nell’oltretomba per portare conforto alla fede cristiana allora nascente (la chiesa primitiva): “per recarne conforto a quella fede / ch’è principio alla via di salvazione” v.30.
    I timori di Dante vengono fugati da Virgilio che libera il discepolo dalle sue paure (“la viltade” del verso 45 contrapposta al “magnanimo” del verso 44) rivelandogli di essere stato mandato in suo soccorso da Beatrice, timorosa di essersi mossa troppo tardi in favore dell’amico (“l’amico mio, e non de la ventura” = “il mio amico che non è di quelli che cambiano col mutare della sorte”v. 61). A muovere Beatrice non sono stati i meriti di Dante, ma l’amore divino (“amor mi mosse che mi fa parlare” v. 72), amore divino ci cui, però, è parte anche l’amore personale e storico che Beatrice ebbe, durante la sua vita, per Dante (vedi il riferimento a Dante come “mio amico” al verso 61 già citato).
    Proseguendo nel racconto del suo incontro con Beatrice , Virgilio riferisce del suo pronto assenso all’invito da lei rivoltogli di soccorrere Dante e del suo colloquio con la donna. Ricorda innanzi tutto il modo con cui si è rivolto a lei riconoscendone il valore divino: “donna di virtù, sola per cui / l’umana spezie eccede ogne contento/ di quel ciel c’ha minor li cerchi sui” = “ O signora di tutte le virtù, grazie alla quale soltanto l’umana specie trascende ogni cosa contenuta entro il cielo con la circonferenza minore di tutti” (il cielo della luna di cui fa parte la terra, volendo indicare con questa immagine il superamento di tutti i limiti terreni ottenuto dall’uomo per mezzo della verità rivelata e della grazia di Dio di cui Beatrice è simbolo).
    Riconosciutone il valore divino, Virgilio chiede alla donna perché non tema di scendere nell’inferno (“in questo centro” v. 83). Beatrice risponde che la sua natura, resa ormai divina da Dio, non può ricevere danno dall’inferno. Dunque essa non ha ragione di essere timorosa , dovendosi temere solo le cose che hanno il potere di farci del male (“temer si dee di sole quelle cose/ c’hanno potenza di fare altrui male” vv. 88-89). Del resto a scendere nell’inferno, continua a raccontare Beatrice, l’ha spinta una donna “gentile”, la Madonna che è l’unica a poter piegare il severo giudizio di Dio: “Donna è gentil nel ciel che si compiange ( che soffre provando compassione) / di questo ‘mpedimento (dell’ostacolo che impedisce a Dante di elevarsi a Dio) ov’io ti mando (a rimuovere il quale io ti mando),/ sì che duro giudicio (il severo giudizio di Dio) là su frange (piega in cielo).
    La madonna, indotta dalla sua compassione, ha chiamato Santa Lucia, la quale è intervenuta a sua volta esortando Beatrice a soccorrere colui che l’amò tanto (“quei che t’amò tanto v. 103, con ulteriore riferimento all’amore storico, terreno di Beatrice per Dante, che, come abbiamo già detto, è intimamente collegato, nel canto, alla dimensione eterna dell’amore divino) e che per lei si distinse (Ch’uscì per te de la volgare schiera” = che si allontanò, per te, dalle occupazioni volgari degli uomini elevandosi a studi più nobili; o, secondo altri interpreti, che si distinse per te dagli altri rimatori volgari, inaugurando la poesia della Lode disinteressata). Beatrice ubbidisce prontamente alle esortazioni di Santa Lucia e scende nell’inferno a cercare l’aiuto di Virgilio.
    Terminato il racconto del suo incontro con Beatrice, Virgilio esorta nuovamente il discepolo ad abbandonare la sua “viltà” e a seguirlo. Questa volta i timori sono definitivamente sconfitti e Dante ce ne avverte attraverso la similitudine dei fiori che chiusi e piegati dal gelo notturno si levano al calore e alla luce del sole, simbolo dell’intervento della Grazia divina sul poeta e sintesi del contenuto dell’intero canto (il soccorso della Grazia che permette al pellegrino perduto di intraprendere il suo viaggio): “Quali fioretti dal notturno gelo / chinati e chiusi, poi che ‘l sol li ‘mbianca, / si drizzan tutti aperti in loro stelo,/ tal mi fec’io di mia virtude stanca,/ vv. 127-130
    Dante è ormai pronto a seguire il maestro e l’anafora dei versi conclusivi conferma la determinazione della sua volontà: “Or va, ch’un sol volere è d’ambedue:/ tu duca, tu segnore e tu maestro”.

    Temi e motivi del canto


    Il canto II è quasi un secondo prologo, dedicato al solo “Inferno”. Infatti, come avviene per tutte e tre le cantiche (anche se in modo diverso), i primi due canti costituiscono una sorta di introduzione e solo con il terzo canto si entra nell’”Inferno” propriamente detto. Lo conferma d’altra parte il prologo dei versi 1-9 che, secondo l’uso classico, propone la materia e l’invocazione alle muse.
    Centro tematico del canto è l’invenzione stessa che sta alla base del poema: il viaggio predisposto dalla provvidenza divina, come gesto di amore gratuito di Dio. In altri termini Dante non ha nessun merito per il suo viaggio che diventa dono gratuito di Dio: a determinarlo è, infatti, Beatrice mossa da amore divino (“amor mi mosse”) e spinta dalla pietà della madonna (“donna è gentil nel ciel che si compiange): “La gratuità di tale avvenimento è palese, e fondata su una profonda verità teologica; (il gesto di amore di Dio per l’uomo, che lo porta alla salvezza nonostante la sua colpa, è concepito come puro gesto gratuito, cioè non dovuto, dalla teologia cristiana)” Leonardi p. 23.
    Alla dimensione eterna (quella della provvidenza divina e del dono gratuito di Dio) nel canto si unisce anche la dimensione storica e personale (quella dell’amore fra Beatrice e Dante) testimoniata dagli espliciti riferimenti alla “Vita Nuova”, ad esempio al verso 53 “e donna mi chiamò beata e bella,”dove la coppia di aggettivi affini (dittologia), tipica del gusto stilnovistico “porta con sé il ricordo e l’aura stessa della “Vita Nuova”( Leopardi). Infatti, seppure indegno del viaggio, Dante un merito lo ha: è quello del suo amore in terra per Beatrice, cantato appunto nella Vita Nuova. Ne risulta che accanto e all’interno dell’amore divino che concede gratuitamente a Dante il Viaggio, troviamo anche l’amore terreno per Beatrice, un titolo, anch’esso, al viaggio che conferma la duplice dimensione della Commedia: quella eterna e quella storica (personale).
    Altro tema importante, seppure implicito, è quello civile relativo alla funzione pubblica di Dante, tema civile che richiama l’impegno politico di Dante e che di nuovo riunisce in unità l’eterno e la storia, secondo quella dimensione più volte sottolineata nella Commedia. Il viaggio di Enea (con lo scopo di preparare l’impero di Roma) e quello di San Paolo (con lo scopo di recare sostegno alla Fede e alla Chiesa nascente), infatti, indicano implicitamente che anche il terzo viaggio, quello di Dante, avrà una duplice finalità (politico-civile e religiosa: riportare sulla terra, attraverso il viaggio, indicazioni per un ordine politico e religioso). Una duplice finalità legata ai due ordini assegnati da Dante alla felicità umana nella “Monarchia”: da una parte la felicità raggiungibile sulla terra, nell’ambito della natura, e cioè l’ordine nella pace e nella convivenza civile garantito dalla guida dell’imperatore; e dall’altro la felicità soprannaturale da raggiungersi in cielo, nella vita di eterna unione con Dio, e favorita, in terra, dalla guida del papa e della chiesa. La Commedia, così, per questa dimensione civile (il ruolo pubblico e politico di Dante, si distanzia da qualsiasi opera di carattere privato e assume un registro opposto, epico. Del resto questo superamento della dimensione privata è presente anche in Beatrice che, pur movendosi per “quei che l’amò tanto”, non va per sé, ma inviata dall’alto, dalla Vergine Maria, che ricomparirà, circolarmente, alla fine del poema, quando San Bernardo, per introdurre dante alla vista di Dio, l’invocherà con la celebre preghiera del XXXIII canto del Paradiso.
    Il canto termina con l’immagine del fiore che si schiude , dopo il freddo della notte, alla luce del sole, sintesi del significato generale del canto stesso: il timore dell’uomo per le sue deboli forze e il conforto che scende da Dio e lo trasforma.
    Il canto II è quasi un secondo prologo, dedicato al solo “Inferno”. Infatti, come avviene per tutte e tre le cantiche (anche se in modo diverso), i primi due canti costituiscono una sorta di introduzione e solo con il terzo canto si entra nell’”Inferno” propriamente detto. Lo conferma d’altra parte il prologo dei versi 1-9 che, secondo l’uso classico, propone la materia e l’invocazione alle muse.
    Centro tematico del canto è l’invenzione stessa che sta alla base del poema: il viaggio predisposto dalla provvidenza divina, come gesto di amore gratuito di Dio. In altri termini Dante non ha nessun merito per il suo viaggio che diventa dono gratuito di Dio: a determinarlo è, infatti, Beatrice mossa da amore divino (“amor mi mosse”) e spinta dalla pietà della madonna (“donna è gentil nel ciel che si compiange): “La gratuità di tale avvenimento è palese, e fondata su una profonda verità teologica; (il gesto di amore di Dio per l’uomo, che lo porta alla salvezza nonostante la sua colpa, è concepito come puro gesto gratuito, cioè non dovuto, dalla teologia cristiana)” Leonardi p. 23.
    Alla dimensione eterna (quella della provvidenza divina e del dono gratuito di Dio) nel canto si unisce anche la dimensione storica e personale (quella dell’amore fra Beatrice e Dante) testimoniata dagli espliciti riferimenti alla “Vita Nuova”, ad esempio al verso 53 “e donna mi chiamò beata e bella,”dove la coppia di aggettivi affini (dittologia), tipica del gusto stilnovistico “porta con sé il ricordo e l’aura stessa della “Vita Nuova”( Leopardi). Infatti, seppure indegno del viaggio, Dante un merito lo ha: è quello del suo amore in terra per Beatrice, cantato appunto nella Vita Nuova. Ne risulta che accanto e all’interno dell’amore divino che concede gratuitamente a Dante il Viaggio, troviamo anche l’amore terreno per Beatrice, un titolo, anch’esso, al viaggio che conferma la duplice dimensione della Commedia: quella eterna e quella storica (personale).
    Altro tema importante, seppure implicito, è quello civile relativo alla funzione pubblica di Dante, tema civile che richiama l’impegno politico di Dante e che di nuovo riunisce in unità l’eterno e la storia, secondo quella dimensione più volte sottolineata nella Commedia. Il viaggio di Enea (con lo scopo di preparare l’impero di Roma) e quello di San Paolo (con lo scopo di recare sostegno alla Fede e alla Chiesa nascente), infatti, indicano implicitamente che anche il terzo viaggio, quello di Dante, avrà una duplice finalità (politico-civile e religiosa: riportare sulla terra, attraverso il viaggio, indicazioni per un ordine politico e religioso). Una duplice finalità legata ai due ordini assegnati da Dante alla felicità umana nella “Monarchia”: da una parte la felicità raggiungibile sulla terra, nell’ambito della natura, e cioè l’ordine nella pace e nella convivenza civile garantito dalla guida dell’imperatore; e dall’altro la felicità soprannaturale da raggiungersi in cielo, nella vita di eterna unione con Dio, e favorita, in terra, dalla guida del papa e della chiesa. La Commedia, così, per questa dimensione civile (il ruolo pubblico e politico di Dante, si distanzia da qualsiasi opera di carattere privato e assume un registro opposto, epico. Del resto questo superamento della dimensione privata è presente anche in Beatrice che, pur movendosi per “quei che l’amò tanto”, non va per sé, ma inviata dall’alto, dalla Vergine Maria, che ricomparirà, circolarmente, alla fine del poema, quando San Bernardo, per introdurre dante alla vista di Dio, l’invocherà con la celebre preghiera del XXXIII canto del Paradiso.


    Grazie a http://skuola.tiscali.it/
     
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